Domenica della SS. Trinità

Domenica della SS. Trinità

davVangelo secondo Giovanni (3,16-18): In quel tempo, disse Gesù a Nicodèmo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.
Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio».

Commento di p. Ermes Ronchi: I nomi di Dio sul monte sono uno più bello dell’altro: il misericordioso e pietoso, il lento all’ira, il ricco di grazia e di fedeltà (Es 34,6). Mosè è salito con fatica, due tavole di pietra in mano, e Dio sconcerta lui e tutti i moralisti, scrivendo su quella rigida pietra parole di tenerezza e di bontà.
Che giungono fino a Nicodemo, a quella sera di rinascite. Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio. Siamo al versetto centrale del Vangelo di Giovanni, a uno stupore che rinasce ogni volta davanti a parole buone come il miele, tonificanti come una camminata in riva al mare, fra spruzzi d’onde e aria buona respirata a pieni polmoni: Dio ha tanto amato il mondo… e la notte di Nicodemo, e le nostre, s’illuminano.
Gesù sta dicendo al fariseo pauroso: il nome di Dio non è amore, è “tanto amore”, lui è “il molto-amante”. Dio altro non fa che, in eterno, considerare il mondo, ogni carne, più importanti di se stesso. Per acquistare me, ha perduto se stesso. Follia della croce. Pazzia di venerdì santo. Ma per noi rinascita: ogni essere nasce e rinasce dal cuore di chi lo ama.
Proviamo a gustare la bellezza di questi verbi al passato: Dio ha amato, il Figlio è dato. Dicono non una speranza (Dio ti amerà, se tu…), ma un fatto sicuro e acquisito: Dio è già qui, ha intriso di sé il mondo, e il mondo ne è imbevuto. Lasciamo che i pensieri assorbano questa verità bellissima: Dio è già venuto, è nel mondo, qui, adesso, con molto amore. E ripeterci queste parole ad ogni risveglio, ad ogni difficoltà, ogni volta che siamo sfiduciati e si fa buio.
Il Figlio non è stato mandato per giudicare. «Io non giudico!»(Gv 8,15) Che parola dirompente, da ripetere alla nostra fede paurosa settanta volte sette! Io non giudico, né per sentenze di condanna e neppure per verdetti di assoluzione. Posso pesare i monti con la stadera e il mare con il cavo della mano (Is 40,12), ma l’uomo non lo peso e non lo misuro, non preparo né bilance, né tribunali. Io non giudico, io salvo. Salvezza, parola enorme. Salvare vuol dire nutrire di pienezza e poi conservare. Dio conserva: questo mondo e me, ogni pensiero buono, ogni generosa fatica, ogni dolorosa pazienza; neppure un capello del vostro capo andrà perduto (Lc 21,18), neanche un filo d’erba, neanche un filo di bellezza scomparirà nel nulla. Il mondo è salvo perché amato. I cristiani non sono quelli che amano Dio, sono quelli che credono che Dio li ama, che ha pronunciato il suo ‘sì’ al mondo, prima che il mondo dica ‘sì’ a lui.
Festa della Trinità: annuncio che Dio non è in se stesso solitudine, ma comunione, legame, abbraccio. Che ci ha raggiunto, e libera e fa alzare in volo una pulsione d’amore.

TrinitàTrinità di Andrej Rubljov, Mosca, 1411

«Poi il Signore apparve a lui alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno. Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, dicendo: “Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo. Si vada a prendere un po’ d’acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. Andrò a prendere un boccone di pane e ristoratevi; dopo potrete proseguire, perché è ben per questo che voi siete passati dal vostro servo”. Quelli dissero: “Fa’ pure come hai detto”. Allora Abramo andò in fretta nella tenda, da Sara, e disse: “Presto, tre sea di fior di farina, impastala e fanne focacce”. All’armento corse lui stesso, Abramo; prese un vitello tenero e buono e lo diede al servo, che si affrettò a prepararlo. Prese panna e latte fresco insieme con il vitello, che aveva preparato, e li porse loro. Così, mentre egli stava in piedi presso di loro sotto l’albero, quelli mangiarono. Poi gli dissero: “Dov’è Sara, tua moglie?”. Rispose: “È là nella tenda”. Riprese: “Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio”» (Genesi 18,1-10).

L’artista, il monaco Andrej Rubljov, ha sintetizzato in un’unica immagine il racconto di Genesi 18,1-10, scegliendo il momento in cui tre misteriosi pellegrini, ospiti di Abramo, sono seduti a mensa davanti alla tenda del Patriarca, presso il querceto di Mamre. Questo episodio della Sacra Scrittura è sempre stato interpretato dai Padri della Chiesa come un preannuncio del Mistero di Dio in tre persone, poiché nel testo sacro si alterna il singolare, quasi fosse una sola persona, al plurale. Rubljov sa che Dio nessuno l’ha mai visto, sa però che Gesù ci ha manifestato Dio Padre, Sé stesso come Figlio e lo Spirito Santo, e quindi cerca di tradurre in pittura, tramite i colori e i gesti dei tre Angeli, quanto contempla nella preghiera e nella meditazione delle Scritture.
Accostiamoci all’icona e osserviamola attentamente, tenendo presente la ricchezza dei simboli usati dal pittore per sottolineare la comune natura divina dei Tre e la Loro identità. Essi sono raffigurati come Angeli con le ali, i Loro volti sono uguali e nessuno è più giovane o anziano dell’altro: in Dio non c’è un prima e un dopo, ma un perenne oggi.
Tutti e tre tengono in mano il bastone del viandante, segno della stessa autorità; anche le aureole, di giallo luminoso, sono tutte e tre uguali senza alcun segno di distinzione; il colore azzurro, presente in tutti e tre, esprime la stessa Divinità; infine le tre figure che sono sedute su troni uguali, segno della stessa dignità.
L’intero dipinto è intessuto di una luce intensa che si riverbera su chi lo guarda. Le tre figure sono in un atteggiamento di riposo, sono molto simili e si differenziano solo per l’atteggiamento di ciascuno nei confronti degli altri due. Un solo Dio in tre persone, che si completano l’una l’altra in un rapporto circolare, inesauribile, di comunione amorosa. L’atteggiamento delle tre persone divine, disposte a cerchio aperto verso chi guarda e in conversazione tra di Loro, esprime l’Amore trinitario.
Nonostante la Loro somiglianza, gli angeli hanno però identità diverse, riferite alla loro azione nel mondo. L’identificazione è suggerita dai colori degli abiti, dalle posizioni dei corpi, dai gesti delle mani, dalla testa, dalla simbologia delle forme geometriche.
È solo con la Trinità di Rubljov che l’uguaglianza pittorica delle tre figure raggiunge livelli così elevati, e soprattutto è solo con Rubljov che la terza figura, lo Spirito Santo, abbandona il simbolismo della colomba – tipico delle raffigurazioni trinitarie – per assumere esplicitamente una sembianza umana del tutto simile a quelle delle altre due figure.
Nel Padre (Angelo di sinistra) il color azzurro è nascosto: Dio Padre nessuno l’ha mai visto, lo si può contemplare solo tramite la bellezza e la sapienza della sua creazione (manto rosa). È Lui il punto di partenza dell’immagine. Il mantello ha i colori regali: oro e rosa con riflessi verdi, simbolo della vita. Al centro della mensa luminosa sta un calice-coppa con dentro l’agnello. Se si osserva attentamente l’immagine, l’angelo centrale (Figlio) è contenuto nella coppa formata dai contorni interni degli altri due angeli (Padre e Spirito).
Il Figlio (Angelo di centro) è uomo (tunica rosso sangue ed è anche il colore dell’amore che si dona sino al sacrificio); ha ricevuto ogni potere dal Padre (stola gialla) e si è manifestato come Dio attraverso le sue opere. Tutti abbiamo visto la sua Divinità: “chi vede me, vede il Padre!”. Ha il mantello azzurro che lascia scoperta una spalla: è il Figlio, figura centrale della Redenzione, è ripreso nel momento in cui ritorna all’interno della Trinità. Due dita della mano destra appoggiata alla mensa rivelano la duplice natura: umana e divina.
Lo Spirito Santo (Angelo di destra) è Dio e dà la vita (verde, colore delle cose vive e della speranza). La vita di amicizia con Dio ci viene da Lui! Sembra sul punto di mettersi in cammino e raffigura lo Spirito Santo che sta per iniziare la Sua missione. Ha un atteggiamento di assoluta disponibilità e di consenso alle altre due figure. Entrambi hanno il viso rivolto verso il Padre, che li ha mandati.
Dal Padre ha origine ogni cosa (posizione eretta). Egli chiama il Figlio indicandogli con mano benedicente la coppa del centro. Il Figlio comprende la volontà del Padre – farsi cibo e bevanda degli uomini – e l’accetta (china il capo e benedice la coppa) – “mio cibo è compiere la volontà del Padre” – chiedendo (col movimento del braccio destro) l’assistenza dello Spirito Consolatore. Questi accoglie la volontà del Padre per il Figlio (mano posata sul tavolo) e col suo piegarsi riporta la nostra attenzione al Figlio e al Padre: vuole metterci obbedienti davanti a Gesù (nessuno può dire “Gesù è Signore” se non per opera dello Spirito Santo) e abbandonati e fiduciosi davanti al Padre (“lo Spirito grida nei nostri cuori: Abbà, Padre!). Unità miracolosa e ineffabile in cui gli Angeli vivono e a cui invitano l’intera l’umanità.
Particolarmente efficace è l’uso della prospettiva inversa (evidente soprattutto nel disegno della mensa e degli scranni degli Angeli): infatti il punto di fuga non è all’interno dell’icona, ma è il punto di vista di chi guarda. L’icona si allarga quindi come una “finestra aperta sull’infinito”, quasi una porta tra l’umano e il divino. Non si tratta di un semplice espediente tecnico; ma di una prospettiva teologica per cui la Verità non è costituita dal punto di vista soggettivo dell’individuo, ma dalla superiore ed eterna realtà di Dio.
C’è posto anche per me in questo circolo d’amore delle Tre Persone: davanti c’è spazio perché io possa partecipare al colloquio intimo e segreto, gioioso e impegnativo: è lo spazio dei martiri (finestrella dell’altare), di chi dà la vita. Il mio posto ha forma di calice (lo spazio libero tra i due Angeli di destra e di sinistra). Il Padre chiede anche a me se voglio mangiare e bere alla sua mensa e offrire la mia vita insieme a Gesù come cibo e bevanda per gli uomini; e lo Spirito, se accetto, mi fa entrare nel riposo di chi è finalmente alla soglia della casa del Padre!
La coppa, punto di convergenza delle Tre Persone, contiene il mistero dell’amore del Padre che accoglie il dono del Figlio crocifisso, l’amore donato del Figlio crocifisso, l’amore dello Spirito che trionfa con la forza della croce e del farsi dono a ogni uomo che accoglie il Figlio nel nome del Padre.

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7 giugno 2020, .