La mattina del 19 luglio, sei giovani impavidi della parrocchia di san Bruno guidati dal loro parroco don Angelo partono alla volta della Certosa di Serra San Bruno. Non appena ci si allontana dal traffico e dal caotico rumore della città, gremita di turisti durante le calde giornate estive, e ci si addentra nell’entroterra della nostra regione, ci si ritrova improvvisamente, lungo viali ombrosi alberati che via via, diventano sempre più folti. Prima castagni, poi querce, poi pini, aceri e infine ci si ritrova in un bosco fitto di abeti secolari. Lungo il percorso ci è capitato di incontrare cumuli di tronchi alti e robusti pronti per essere trasportati nelle foresterie ed essere lavorati e trasformati nei legnami più pregiati. Così come, abbiamo scorto laddove i boschi si aprono in piccole radure, i ruderi di antiche storie abbandonate.
Siamo nel cuore delle Serre, in provincia di Vibo Valentia, a circa 35 km dal Mar Ionio e a 35 km dal mar Tirreno. Posta in alto ad esse, antica di nove secoli e circondata da alte mura la Certosa attira leggende. Ha attirato molto anche la mia curiosità nata quando da bambino delle scuole elementari andai in gita proprio alla Certosa. Un luogo misterioso per molti che negli anni hanno cercato risposte a molti misteri irrisolti ma, di un’immensa spiritualità per altri. La tranquillità e serenità che ispirano quei boschi e il silenzio assordante rendono ancora oggi per me quei luoghi di un fascino unico.
Perché di questa avventura? Oggi 19 Luglio 2014 ricorrono i 500 anni della canonizzazione di san Bruno infatti, Papa Leone X dà l’autorizzazione al culto di san Bruno nello stesso giorno del 1514. E anche noi come prima parrocchia dedicata a san Bruno siamo stati invitati.
Le grandi celebrazioni ufficiali sono fatte tutte in tono molto sobrio come da stile certosino. Partecipiamo alla S. Messa voluta dal priore Dom Jacques e da lui presieduta alla quale concelebra anche don Angelo.
È la prima volta che vedo il priore dopo aver letto tanti libri sui certosini, per me è come un mito, un personaggio mistico avvolto dal mistero. Ha un volto luminoso e sereno da cui traspare il suo amore per Dio. Si dice emozionato per aver un’assemblea così numerosa di fedeli alla quale non è abituato.
Nella sua omelia richiama una lettera che san Bruno scrive a Rodolfo prevosto della Cattedrale di Rems, dove scrive così descrivendo la Calabria e la Certosa: Qui, infatti, agli uomini forti è consentito raccogliersi quanto desiderano e restare con se stessi, coltivare assiduamente i germogli delle virtù e nutrirsi, felicemente, dei frutti del paradiso. Qui si conquista quell’occhio il cui sereno sguardo ferisce d’amore lo Sposo, e per mezzo della cui trasparenza e purezza si vede Dio. Qui si pratica un ozio laborioso e si riposa in un’azione quieta. Qui, per la fatica del combattimento, Dio dona ai suoi atleti la ricompensa desiderata, cioè la pace che il mondo ignora, e la gioia nello Spirito Santo. Il priore sottolineala continua ricerca di Dio e della solitudine contemplativa mezzo per arrivare a Lui. Di un amore limpido e trasparente, un vero amore che è solo di Dio. Infine richiama anche Papa Francesco che di san Bruno dice che è una stella luminosa per la Chiesa e per il mondo.
È stato un tuffo nel piccolo ma intenso mondo certosino, forse un po’ anacronistico. Un staccare un po’ la spina dal nostro mondo frenetico, dalla nostra società liquida e senza soste che spesso ci allontana dall’unica ricerca che vale, quella di Dio. A volte noi del mondo “normale” non capiamo o comprendiamo il perché di queste scelte così forti e rigorose.
Dom Jacques in un’intervista dice: Cerchiamo di seguire le orme di san Bruno. La sua capacità di rinuncia, di lasciare tutto e di ricominciare. Tentiamo di tenere sempre presente anche la sua disponibilità a fare la volontà di Dio espressa nella voce della Chiesa. Avvertiamo la sua lontananza, ma anche la sua sorprendente vicinanza, Dio è il senso ultimo della vita ed è l’unico bene dal quale riceviamo la vera luce. Come san Bruno i certosini sono allo stesso tempo fuori del mondo e legati strettamente al mondo. Non hanno niente di proprio da dire al mondo, non sono modelli per gli altri, ma un segno.
Sempre Dom Jacques paragona i monaci certosini ad un mozzo: Questi si arrampicano sulla cima dell’albero maestro per scrutare l’orizzonte nella speranza di vedere profilarsi una riva sconosciuta. Il mozzo non è colui che guida la nave, il suo compito è solo quello di vegliare al suo posto di vedetta. Quando la terra appare in lontananza, grida la scoperta a tutti i membri dell’equipaggio. Come il mozzo, il monaco scruta i segni del mondo nuovo. Deve essere un uomo vigilante, totalmente teso verso il futuro a cui anela e che vorrebbe affrettare. In definitiva potrebbe essere definito l’uomo del desiderio.
Il desiderio rientrando a casa che questa giornata certosina ci insegni a dettare i tempi della nostra vita e guardare sempre avanti oltre l’orizzonte.
Concludo con una storia, Una volta un uomo chiese a un monaco eremita: “Dimmi una parola, tu che sei saggio”. “Se parlo – rispose l’eremita – rompo il silenzio, che è il mio linguaggio; e se mi chiedi di rompere il silenzio vuole dire che non puoi capire il mio messaggio”.
Pasquale Romeo, L’Avvenire di Calabria, 26 luglio 2014, p. 12.