Un anno vissuto insieme… in pellegrinaggio al Monastero del Sacro Cuore

Un anno vissuto insieme… in pellegrinaggio al Monastero del Sacro Cuore

L’anno scorso, il 27 giugno 2014, solennità del Sacro Cuore, il Signore disponeva il mio avvicendarsi al caro don Mario Manca nella guida della Parrocchia di san Bruno. Oggi, 27 giugno 2015, siamo saliti al Monastero del Sacro Cuore per dire grazie al Signore dell’anno trascorso insieme nel farci ogni giorno dono reciproco nella fede e nella carità di Dio.

Siamo saliti qui sul colle per incontrare il Volto di Dio. Saliti per toccare le profondità dell’amore di Cristo. Venuti per consacrarci al Suo Cuore. Consacrare al Suo Cuore non solo noi stessi, la nostra vita, il presente e il futuro del nostro cammino sulla terra. Siamo qui per consacrare al Suo cuore la nostra parrocchia: le case, le istituzioni, le scuole, i luoghi di lavoro; gli uomini e le donne, i giovani e le ragazze, i fanciulli e i bambini, i vecchi e i neonati, i moribondi e le creature che si formano nel grembo delle madre. Tutti e tutto nel cuore di Gesù! Mettiamo nel cuore del Signore la nostra parrocchia con la sua storia, le fatiche e i silenzi, le grida e le gioie, i dolori e le speranze, le cadute e i passi, gli orizzonti di santità.

La Parola di Dio ci aiuta ad aprire il nostro cuore all’amore del Signore. Osea ci offre uno stupendo soliloquio in cui Dio appare come padre pieno di amore per il figlio, Efraim, un figlio, una tribù, un popolo. Alla fine del brano, possiamo scorgere il panorama dei disastri dovuti alle intemperie naturali e quelli dovuti alla cattiveria degli uomini. Le prime – il triste calvario delle alluvioni, delle vite perdute nello spazio di un attimo, delle speranze recise, delle famiglie ferite – si ritrovano dentro i versi di Osea, che descrive cosa accade a Dio dinanzi a quell’immenso dolore: “Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione” (Os 11,8). Le altre – il panorama delle cattiverie umane, la lunga storia di soprusi e di delitti della malavita organizzata, lo sconcertante riproporsi lungo il tempo, dentro le stesse pubbliche amministrazioni, di rivoltanti episodi di corruzione – suscitano l’accendersi dell’ira di Dio. Anche se l’amore prevale sull’ira. “Non darò sfogo – scrive Osea – all’ardore della mia ira, non tornerò a distruggere Efraim” (Os 11,9).

C’è, in tutto il resto del brano, la descrizione della tenerezza di Dio: una tenerezza con cui Dio continua a incarnarsi dentro la vita e i volti dei suoi figli. A questo incomparabile scenario di gratuito amore umano si riferisce l’incanto del testo divino di Osea: “Quando Israele era fanciullo, io l’ho amato…” (Os 11,1). “Ad Efraim io insegnavo a camminare tenendolo per mano…” (Os 11,3). “Io li traevo con legami di bontà, con vincoli di amore… “ (Os 11,4a). “Ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia, mi chinavo su di lui per dargli da mangiare” (Os 11,4b). La tenerezza paterna e materna di Dio si è incarnata.

E se noi siamo qui oggi, lo siamo proprio per rispondere a questa divina tenerezza. E la risposta non può essere se non quella che Dio stesso attende. Gesù disse: “Se uno mi ama … noi verremo a lui e porremo la nostra dimora dentro di lui” (Gv 14,23). Questo siamo qui oggi a chiedere: che Egli faccia del nostro cuore la Sua dimora e del Suo cuore la nostra. Il Suo Cuore è descritto nel brano del Vangelo di questo santissimo giorno ci dice che fu trafitto dalla lancia: “Venuti da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il costato, e subito ne uscì sangue e acqua” (Gv 19,33-34). Quel sangue e quell’acqua dei quali la Liturgia afferma che sono i simboli dei Sacramenti della Chiesa. Davvero da quel Cuore trafitto nacque la Chiesa.

E lì, in quel luogo e in quel momento, sul legno della croce e nell’attimo dell’ultimo respiro, il Crocifisso non solo dà il segno più alto dell’amore Suo e del Padre, offrendo liberamente e interamente la sua vita, ma compie anche il gesto di tenerezza più grande: attira tutti a Sé: “Quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a Me” (Gv 12,32). Il Cuore si apre ad accogliere ogni sguardo, ogni vita, ogni dolore, ogni cammino, ogni attesa, ogni debolezza, ogni grido, ogni silenzio…

Per noi, oggi, valgono le parole che i nostri vescovi ci hanno consegnato in occasione della consacrazione della Calabria al Sacro Cuore di Gesù avvenuta in questo Monastero il 6 febbraio 2012: «Carissimi fratelli, cos’è che ci aspettiamo da un evento così singolare? Vi dirò nella maniera più semplice che attendiamo il verificarsi di almeno tre cose:

– Un irrobustirsi, anzitutto, della nostra fede. Il mondo di oggi, infatti, insidia in una molteplicità di maniere la fede dei credenti. In ogni giorno del tempo che scorre, dietro ogni angolo delle nostre strade le tentazioni del maligno sono sempre in agguato: portano all’infittirsi dei dubbi, all’abbandono delle pratiche religiose, all’allontanamento dalla vita delle nostre parrocchie, alla fragilità di tanti matrimoni, alle crisi delle famiglie, alla ricerca smodata dei piaceri, alla conquista del successo ad ogni costo, all’attaccamento al denaro e ai beni della terra, alla voglia spasmodica di apparire… È urgente, fratelli cari, ricuperare l’integrità della nostra fede, messi in guardia noi tutti da quel- le dure parole del Vangelo: “Ma il Figlio dell’ uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc 18,8).

– Una crescita, poi, della carità. Ammaestrati dal Cuore al quale ci consacriamo, siamo chiamati a vivere il suo appassionato invito: quello di riconoscere negli ultimi della terra il suo Volto divino. È lì – nella vita e nelle dimensioni dei poveri – che Egli sempre è presente. “I poveri – ci ha detto – li avrete sempre con voi” (Gv 12,8). E sta a noi – e questo speriamo che accada – riuscire a riconoscere anche quell’insieme di povertà, che vanno al di là della mancanza di denaro e di beni materiali: la povertà delle solitudini, delle malattie, degli abbandoni… la povertà delle ferite non rimarginabili, delle ingiustizie subite, delle emarginazioni, delle incomprensioni e dei disagi interiori. Un immenso panorama di “amore concreto da vivere” si presenta davanti ai passi della nostra vita.

– Un incremento, infine, della comunione delle nostre Chiese. Una comunione che attraversi la vita dei fedeli e dei loro pastori, dei presbiteri all’interno di ogni diocesi, dei vescovi con i loro preti… ma una comunione che comprenda anche il rapporto fra l’una chiesa calabrese e l’altra, di ogni vescovo con ogni altro vescovo, di ogni prete con ogni altro prete, di ogni cristiano con ogni altro cristiano, fino a fare dell’intera Calabria un “cantiere vivo” di fraternità e di comunione.

Se tutto questo accadrà, fratelli carissimi, quel giorno e quell’ora della consacrazione al Cuore di Cristo, segneranno per la Calabria l’inizio di una storia nuova e daranno a quel Cuore – a cui ci consacriamo – la gioia di vedere incarnate le parole eterne del suo eterno Vangelo».

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27 giugno 2015, .